Él Capelon del Dos

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Questa leggenda ha come elemento centrale un colle (én dos, come dicono i Cembrani), che divide la vallata in alta e bassa Val di Cembra. Su di esso, chiamato Dos Venticcia, si trova un grande masso erratico che, non essendo riuscito nella sua corsa a superare la collina, è rimasto appoggiato al culmine della stessa apparendo come un enorme cappello sulle ventitrè. Il sasso è conosciuto come él Capelòn del Dos (letteralmente il grosso cappello della collina).

Questo deve aver stimolato la fantasia dei valligiani già nella più remota antichità; come dice Elio Antonelli: «Tipicamente preistorica per gli elementi magico-naturalistici: eco, acqua, pietra, è la leggenda del Capelon del Dos legata al rilievo di Venticcia. Tuttavia anche in questo racconto, che si è tentato di organizzare in unità, si riconoscono sovrapposizioni ed influssi posteriori.» (Segonzano e Sevignano pag. 72).

C'era una volta un bruto che terrorizzava la gente della vallata. Costui portava un orrendo cappellaccio (si sa che nelle leggende la cattiveria è sempre associata alla bruttezza) e compiva ogni sorta di nefandezze verso gli abitanti di Segonzano: spaventava la gente, rubava gli animali, rovinava i campi…

La gente, esasperata da questa situazione, raccolse un dono prezioso da offrire alla divinità del Dos Venticcia, venerata fin da tempi immemorabili, in cambio della liberazione da questo flagello.
L'offerta era costituita da sette bocce di oro massiccio (la leggenda è anche conosciuta come “Il tesoro delle sette bocce d'oro”): queste sono forse una reminiscenza della mela d'oro che Paride offrì ad Afrodite, ponendo così i presupposti per la Guerra di Troia, o delle mele d'oro che Ippomène lasciò cadere durante la gara con Atalanta (la mitica cacciatrice, non la squadra di calcio).

Però l'empio, che evidentemente era dotato di poteri magici, durante una notte di tempesta riuscì ad impossessarsi delle bocce.

Questo era davvero troppo per i Segonzani, che decisero di dargli una sonora lezione. Lo attesero quindi e non appena si fece vivo gli saltarono addosso. Ma questi, divincolandosi energicamente, riuscì a liberare un braccio, prese il cappello e lo lanciò verso il Dos Venticcia: immediatamente l'uomo scomparve nel nulla, lasciando basiti gli assalitori.
Allora tutti, cercando di contenere la paura, si precipitarono alla collina e trovarono che il cappello si era trasformato in un enorme pietrone; del bruto nessuna traccia!

La gente pensò che forse il tesoro era sotto la pietra, ma nessuno aveva il coraggio di cercare in tale luogo saturo di magia e di misteri.

Alfine un ardito, alla vigilia di Natale, osò scavare sotto il Capelon. Quando un suono metallico sotto il suo piccone gli annunciò che la ricerca aveva avuto successo, l'uomo proruppe con gioia: «Le ghè!» (ovvero “ci sono” in cembrano).

Si dice che quando si trova un oggetto di valore, il modo migliore per evitare questo sparisca è far finta di niente: in questa storia, non appena lo scopritore lanciò il suo grido trionfale le bocce sprofondarono verso il centro della terra.
L'incauto non potè far altro che tornarsene a casa deluso.

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© 2004, Fabio Vassallo