La crós dei Cavezai

      Vai alla pagina principale

C'era una volta una serena coppia di sposi che abitava a Sabion.

Una sera bussarono alla porta due figuri, dicendo di essere viandanti e chiedendo di entrare a riposarsi per un poco. La coppia, dando prova della nota ospitalità trentina, fece accomodare i due.
Mentre l'uomo faceva gli onori di casa la sua sposa riprese a filare; ma sebbene lui conversasse amabilmente con gli ospiti senza sospettare alcun pericolo, la donna non si sentiva tranquilla.

(
Apro qui una parentesi: nella maggior parte delle favole e delle leggende, nonché nelle pubblicità televisive, la padrona di casa è dotata di notevole senno, mentre il marito è il peggiore dei babbei.
Uffa: questa è discriminazione letteraria!  
)

Ad ogni modo, l'astuta fece cadere cadere a terra il fuso: chinandosi per guardarli meglio si avvide che sotto le vesti degli sconosciuti spuntavano dei piedi di mulo: si trattava dei temutissimi Cavezai  
(a pag. 55 dell'Aneggi la definizione “cavezàl = s.m. - mostro immaginario a due gambe e piedi asinini.” )

Senza perdersi d'animo escogitò un piano: suggerì di preparare la polenta. I Cavezai, che da bravi Trentini evidentemente ne erano golosi, accolsero con entusiasmo la proposta (anche a me piace molto l'idea, in effetti   ).
C'era però un problema: la casa non era dotata di acqua corrente. La donna chiese pertanto ai due di andare a prenderne un po' al pozzo, e diede loro quello che nella penombra sembrava un secchio.
In realtà si trattava di una cesta di vimini; i mostri non si avvidero dell'inganno finché non provarono a tirar su l'acqua.

Nel frattempo i due sposi sprangarono la porta ed ammassarono mobili e masserizie su di essa per cercare di impedirne l'apertura (avete presente i Blues Brothers nelle scene finali?); oltre a ciò, misero contro la porta un crocifisso.

I Cavezai, furiosi ed assettati di vendetta, avrebbero potuto spazzar via facilmente la porta con la loro forza sovraumana. Ma la croce impediva loro di avvicinarsi (un po' come per i vampiri). Si misero allora ad urlare, fuori di sé dalla collera: «Se no te fuśi en do che te sei, te faréśen su fina come i to cavèi!» (“se non fossi dove sei, ti faremmo a pezzetti minuscoli, sottili come i tuoi capelli!”).
Alla fine, incapaci di sopportar oltre la vicinanza del crocifisso, scapparono via.

Da allora è invalsa l'usanza di inchiodare alle porte delle piccole croci (dette “le crós dei Cavezai”) per proteggere le case dai mostri.
Tuttora se ne possono vedere alcune, soprattutto a Stedro.  

Gli strani esseri poterono allora essere tenuti a bada. Tuttavia la gente continuava a percepirne la presenza: piccole sparizioni di cibo e colpi a tetti e finestre venivano infatti imputati ai mostri.
Mi chiedo quanti bambini cembrani avranno rubato la marmellata, dando poi la colpa ai Cavezai.  



Come per tutte le leggende, anche per quella dei Cavezai esistono molte varianti (per esempio in un'altra versione, nella casa c'erano tre giovani fanciulle). Una diversa leggenda sui Cavezai è scritta qui sotto.

C'erano una volta due contadini cembrani che stavano ricavando da un tronco d'albero che avevano abbattuto, dei pali per sostenere le vigne: dopo aver praticato un solco nel legno, vi stavano piantando dei grossi cunei.

A un certo punto si presentarono due tipi loschi che si offrono di aiutare gli uomini. I due lavoratori si accorsero dei piedi di mulo e, furbamente, invitarono gli sconosciuti a introdurre le mani nella fessura: «Così sarà più facile spaccare il tronco.».
Anche in quell'occasione i Cavezai si dimostrano proprio stupidotti: non sospettando nulla fecero quello che gli uomini avevano chiesto. D'improvviso i Cembrani tolsero i cunei con un colpo di mazza, imprigionando gli arti degli strani individui nella scanalatura; scapparono poi a gambe levate.

La mattina seguente gli uomini, con sommo orrore, videro che nel tronco si trovavano ancora le mani strappate dei mostri!

Da allora i Cavezai non si fecero più vedere in valle.

      Vai alla pagina principale



© 2004, Fabio Vassallo